Roberto Strongman. Studi queer sul Candomblé e la s/exu/alità di Dona Flor

Un estratto dal volume di Roberto Strongman Divinità Queer, Candomblé, santeria e vudou: transcorporeità nelle religioni dell’atlantico nero. Traduzione di Paolo Stella Casu, Meltemi 2023, Collana Selene curata dal gruppo di ricerca Ippolita.

Strongman – La s/exu/alità di Dona Flor. Nel suo saggio The Signifying Monkey del 1989, Henry Louis Gates Jr. sostiene che la divinità trickster africana Eshu-Elegbara ha la funzione di concetto che unisce i discorsi africani e afroamericani statunitensi. In questo capitolo, esplorerò invece la sopravvivenza di questa divinità africana in un altro luogo dell’emisfero occidentale – la città di Salvador de Bahia in Brasile – per affermare che la figura di Eshu-Elegbara, lungi da restare monolitica nella diaspora, cambia forma nei diversi contesti del Nuovo Mondo. Mentre negli Stati Uniti Eshu ha una posizione conflittuale e sprezzante verso la cultura anglosassone dominante, in Brasile Exu contesta quella lusitana, e quindi occidentale, attraverso un’esortazione giocosa e decisamente queer alla creolizzazione culturale. Il personaggio di Vadinho nel romanzo Dona Flor e seus dois maridos di Jorge Amado ci dà l’opportunità di osservare questo fenomeno.

Dopo la sua morte, Vadinho – devoto di Exu – continua ad apparire a sua moglie come spirito e ha una relazione sessuale con lei. Rendendosi conto che è stato il potere del Candomblé a riportare Vadinho dal mondo dei morti, Dona Flor decide di usare i poteri di questa religione per mandarlo via e potersi così risposare. Tuttavia, alla fine decide di tenere entrambi: il suo stallone fantasma e il marito, sempliciotto ma vivo. Questo ménage à trois incarna un’accettazione dell’ibridità culturale ed etnica che si distingue dall’Eshu di Zora Neale Hurston o Ralph Ellison. Il mio studio, perciò, corregge l’analisi di Gates insistendo su Eshu-Elegbara come caratteristica unificante del discorso afrodiasporico non per i suoi attributi spirituali fissi, ma per la sua capacità di sopravvivere con adattamenti che lo rendono spesso irriconoscibile al primo sguardo. Uno dei modi in cui Eshu-Elegbara cambia forma in Brasile è la sua esemplare trasgressività rispetto al genere. La nuova grafia con il nome accorciato in Brasile racconta la sua evoluzione dall’Africa al Nuovo Mondo: in questo nuovo contesto, diventa il signore dei confini del genere, e attraversa i limiti delle forme tradizionali di maschilità e femminilità. L’analisi della tradizione esistente di studi queer sul Candomblé permetterà di comprendere la religione come vettore per la proliferazione di performance, comportamenti e categorie sessualmente dissidenti. La qualità di trickster di Exu nel Candomblé brasiliano introduce un importante elemento tematico non-eteronormativo nel primo testo afro-religioso brasiliano, Dona Flor e i suoi due mariti, rendendo possibile una lettura queer del romanzo che è stata finora inesplorata nella critica e solo accennata dal suo autore. Questa non-eteronormatività illustra come il sistema di genere che opera nel Candomblé sia diverso dal modello binario occidentale corpo/anima, e mostra la transcorporeità del sé come rimovibile, esterno e molteplice in un corpo che fa da recipiente aperto.

Storia degli studi queer sul Candomblé

In questo capitolo, affermo l’esistenza di una tradizione ancora non mappata di studi queer sul Candomblé, che parte da un periodo in cui predomina un’idea patologica (1940-69), seguito da un approccio fattuale (anni ’70) per culminare in una fase di delucidazione (dagli anni ’80 ai primi 2000) che si avvicina alla comprensione transcorporea al centro del mio progetto.

I tre principali studiosi della prima fase sono Landes, Bastide e Ribeiro. Ruth Landes, nel suo fondamentale saggio A Cult Matriarchate, associa l’omosessualità al vizio. In un modo che riecheggia il lavoro di Ortiz sul Lucumí, Landes scrive: “La maggior parte di questi ‘padri’ e ‘figli’ caboclo sono notoriamente omosessuali passivi, ed erano vagabondi e gente di strada […] I circa dieci ‘padri’ che ho conosciuto venivano da un contesto di prostituzione, delinquenza e criminalità”. In aggiunta a questa presentazione dei queer come degenerati sociali, Landes ipotizza che gli uomini omosessuali nel candomblé stiano usurpando i ruoli di genere femminili. Questo esclude ogni potenziale trasgressione del binarismo di genere e mette un freno a una discussione sulla possibile solidarietà tra le donne e gli uomini sessualmente dissidenti: “Vogliono solo una cosa, che il candomblé rende ampiamente possibile: vogliono essere donne […] Le fantasie omosessuali passive si possono realizzare sotto la protezione del culto, dove gli uomini ballano con le donne nel ruolo di donne, indossando gonne e comportandosi come medium”.

Il suo saggio apre la strada al suo lavoro più importante, The City of Women, nel quale continua il suo lavoro pionieristico sul genere nel Candomblé. Quando interroga la sua informante su “un omone posseduto da Iansá, la dea bisessuale”, la risposta che ottiene è: “Beh, è un uomo, Dona Ruth, in un mondo dominato dalle donne! Un vero sacerdote del culto deve essere una donna, e penso che Bernardino sia abbastanza onesto da desiderare di essere davvero una donna, invece che solo un uomo che si comporta come tale”. Qui Landes introduce una logica spirituale tramite la nozione della possessione cross-gender, ma mantiene la rappresentazione binaria, e quindi semplicistica, dei pai-de-santos maschi come usurpatori della femminilità.

In Le candomblé de Bahia, Roger Bastide continua la patologizzazione delle soggettività queer, stavolta con una spiegazione spirituale del desiderio omosessuale:

Il neonato viene al mondo con un’anima; come abbiamo detto, la divinità entra nel corpo solo alcuni giorni dopo il parto, e resta in uno stato di latenza finché l’Orixá si manifesta in una crisi di “possessione”. L’êini è dello stesso sesso del corpo, i bambini hanno un’anima maschile e le bambine una femminile; certo, questa regola ha delle eccezioni, ed è senz’altro così che si spiegano i casi di pederastia passiva, tanto numerosi in alcuni terreiros 6 bantu; non sono, tuttavia, che casi patologici.

Bastide si esprime con lo stesso linguaggio patologico di Landes che troviamo anche in Ortiz. Nonostante questo, è significativo che venga menzionata la questione del grande numero di uomini queer nella religione, e che venga affrontata come una relazione complessa tra il corpo e il sé spirituale di genere. Per quanto sia palpabile l’influenza della prima sessuologia à la Karl Heinrich Ulrichs, specie nel concetto di anima muliebris virili corpore inclusa, l’accento sul ruolo del corpo prefigura alcuni dei lavori più avanzati che verranno fuori solo trent’anni dopo.

È importante ricordare che Bastide scrive alla fine degli anni ’50 e che la menzione stessa del desiderio omosessuale, nel paragrafo che segue, pure se associata al vizio è piuttosto all’avanguardia per il periodo:

Non è una buona cosa sposarsi se il marito o la moglie hannoanche sposato un Orixá maschile o femminile. Un babalorixá di Recife mi spiegò che questi matrimoni sviluppavano nei coniugi gusti omosessuali e, in generale, tendenze viziose, almeno in uno dei due.

Con Le candomblé de Bahia, Bastide apre la strada al lavoro più ambizioso che seguirà dopo due anni, The African Religions of Brazil, del 1960. Qui l’autore continua la patologizzazione del desiderio omosessuale associandolo alla tragedia e alla compensazione per i fallimenti nell’amore eteronormato. In generale, il desiderio omosessuale viene presentato come una forma di sviluppo mancato freudiano:

Pulsioni primitive come l’erotismo, che sia omosessuale o etero (si fa l’amore con gli spiriti per compensare la disillusione per l’amore nella vita vera). Ho spesso osservato, analizzando ciò che gli spiriti dicono attraverso i loro “media”, tormenti profondi come il complesso di colpa, che può derivare da un complesso di Edipo non risolto.

Il titolo stesso del saggio scritto da René Ribeiro nel 1969 ci avverte del linguaggio patologico che vi troveremo. Personality and the Psychosexual Adjustment of Afro-Brazilian Cult Members usa un modello evolutivo per presentare le persone omosessuali iniziate come psicologicamente disadattate:

Gli omosessuali o le persone sessualmente disadattate possono aderire ai gruppi di culto afro-brasiliani per molte ragioni, tra le quali la compagnia femminile, la necessità di esibire le loro stravaganze o di identificarsi con divinità femminili in gruppi guidati da omosessuali, o da uomini e donne severi ma allo stesso modo dediti al controllo del sovrannaturale.

Qui Ribeiro mostra chiaramente la sua omofobia. Senza mezzi termini descrive gli uomini queer come disadattati ed esibizionisti che vogliono stare con le donne perché vogliono identificarsi come tali. L’associazione dei queer con il sovrannaturale li associa all’occulto, pericoloso e nascosto. Tuttavia, la riconoscenza della leadership queer maschile è utile a documentarne l’importanza numerica all’interno della tradizione. Nonostante i commenti dispregiativi, l’affermazione di Ribeiro sugli iniziati queer che si identificano con le orixá femminili diventa una base della piena comprensione transcorporea del corpo umano ri-generato in comunione estatica col divino. Integrando la descrizione della possessione queer cross-gender di un iniziato da parte di Iansá descritta da Landes, Ribeiro presenta il ruoloimportante che hanno, per gli uomini queer, le orisha della femminilità, vanità e amore romantico:

Tuttavia, Oshum [sic], la divinità con una reputazione mitica voluttuosa, era stata identificata come patrona di soli due omosessuali e tre individui con difficoltà di identificazione sessuale. Era, però, la divinità secondaria di tutti gli altri omosessuali (come ci si aspetterebbe secondo la tradizione), ma solo nove su venticinque individui, con difficoltà di identità sessuale o inadeguatezza sessuale e tendenze omosessuali, la avevano come dea “di accompagnamento”.

Per quanto problematica, piena di inadeguatezze e difficoltà di identificazione, in questa descrizione i commenti di Ribeiro sul rapporto tra gli uomini queer e Oxum, la dea della sensualità e della bellezza, mostrano il Candomblé come un contesto privo di pregiudizi verso il desiderio omosessuale. Oxum è presentata come la dea tutelare degli uomini queer – in un testo degli anni ’60: in un’epoca in cui ben poche leggi nazionali, nel mondo, proteggevano le persone queer, viene presentata una comunità afro-religiosa che le accoglie e le protegge. Le culture diasporiche nere hanno aperto la strada alla piena inclusione delle persone queer nei discorsi della nazione, in aperto contrasto con l’immagine mediatica che contrappone la gente nera omofoba alla borghesia bianca illuminata.

Nel complesso, per Ribeiro il desiderio omosessuale è vizio, malattia mentale e comportamento aberrante: “Esibivano vari gradi di squilibrio emozionale e condotta deviata, dall’omosessualità aperta o nascosta a problemi di adeguamento sessuale, incluso l’alcolismo”. In un modo che ricorda Freud e la prima sessuologia del tardo diciannovesimo secolo, parla del desiderio omosessuale negli uomini come conseguenza di problemi con le madri: “Omosessuali maschi di classi basse, cresciuti in quelle famiglie di madri sole e indipendenti”. Per compensare queste madri single, gli uomini queer cercano di “assicurarsi di assumere ruoli femminili tramite la possessione di divinità femminili”. Questo ricorso al discorso patologico non solo richiama l’idea europea delle madri dispotiche e padri negligenti, ma ricorda molto da vicino il Moynihan Report, che negli Stati Uniti attribuiva la subalternità delle persone nere all’assenza dei padri e la solitudine delle madri. In questo caso, vediamo la definizione di normalità applicata al discorso della famiglia nucleare. Secondo Ribeiro, l’incapacità di trascendere l’autorità delle madri single impedisce loro di acquisire un ideale normativo di virilità, generando una maschilità pervasa di tratti infantili:

“Mostravano dipendenza materna, introversione, immaturità, egocentrismo; alcuni sono esibizionisti, narcisisti, con sensi di colpa, sospetto e timidezza. Tutti hanno grandi difficoltà a relazionarsi con l’immagine femminile”.

Nel suo discorso il desiderio per l’immagine femminile è fortemente contraddittorio: gli uomini queer ne sono attratti, ma sono allo stesso tempo in difficoltà di fronte alle donne.

Secondo questo ragionamento, il desiderio omosessuale maschile viene presentato come una incapacità di trascendere il sé, una crescita emotiva mancata, uno sviluppo psicologico interrotto. Inoltre, le persone nere e queer sono presentate come socialmente inferiori, attribuendo loro l’incapacità di accoppiarsi, riprodursi e crescere la prole secondo i dettami prescritti dalla società.

La descrizione patologica del desiderio omosessuale e la sua preponderanza nei circoli del Candomblé ha l’effetto di patologizzare la religione stessa come culto delle persone disadattate, psicologicamente incompetenti e reiette sociali. L’implicazione problematica in questa associazione è che queste persone nere devote – presentate come razzialmente inferiori, non civilizzate e culturalmente infantili – creerebbero lo spazio ideale per gli omosessuali, abietti e psicologicamente immaturi.

I lavori di Landes, Bastide e Ribeiro portano a un decennio in cui, invece, la preponderanza delle persone queer nel Candomblé è presentata come un fatto, senza giudizi o analisi. Scompare quindi l’omofobia, ma la presenza così visibile delle persone queer resta ancora poco indagata. Questa fase di descrizione fattuale è evidente nel lavoro di Leacock e Leacock, che nel loro Spirits of the Deep: A Study of an Afro-Brazilian Cult, del 1972, presentano la “credenza diffusa, sia dentro che fuori la religione Batuque, che gli uomini che indossano costumi rituali e danzano nelle cerimonie pubbliche siano effeminati o, in molti casi, omosessuali attivi. In realtà, questa credenza si basa su un fatto – alcuni di loro sono in effetti omosessuali”.

Gli autori confermano quindi che la voce è vera. E mentre cercano di mantenere un distacco verso il tema del desiderio omosessuale, presentano l’omofobia della società brasiliana nel suo complesso e la paura della persecuzione che nasce dalla stessa: “C’è sempre paura che il terreiro passi per un punto d’incontro di omosessuali e per questo passibile di pubblico ludibrio e persecuzione della polizia”.

Anche Erika Bourguignon riconosce la fluidità di genere nel Candomblé, ma mostra come lo stesso non sia del tutto immune dall’omofobia che caratterizza la società in generale:

L’ideale brasiliano di “macho” è in conflitto con l’immagine di una persona che patisce la possessione di uno spirito durante il rituale. Almeno in un gruppo di devoti, studiato da questi autori, non venne permesso agli uomini di sperimentare la trance. Senza dubbio, bisogna notare che tanto gli uomini quanto le donne possono subire la possessione di spiriti maschili o femminili. E sembra che non ci siano obiezioni verso le donne che, credendosi possedute da spiriti maschili, si comportano da maschi.

Bourguignon sottolinea che la possessione cross-gender è un fatto reale e riconosce la diffusione e libertà della possessione delle iniziate da parte di divinità maschili. Ma né lei né Landes ci dicono cosa renda possibile questo genere di possessioni.

Non c’è, in questa fase e in quella precedente, la volontà didare una spiegazione al grande numero di persone queer nel Candomblé. Ed è l’assenza di queste domande che rende questi due gruppi di studiosi distanti dalla nuova scuola di pensiero sulle sessualità queer nel Candomblé, che comincia negli anni ’80 e arriva a oggi.

Peter Fry inaugura questa tradizione nel 1986 con il suo saggio fondamentale Male Homosexuality and Spirit Possession in Brazil. In esso, lo studioso condensa molti dei commenti accennati riguardo alle ragioni di questa presenza, facendo chiarezza su questo fenomeno sociale. La prima ragione riguarda la singolare capacità delle persone queer di investire risorse nelle relazioni che si pongono al di fuori dei vincoli della famiglia eteronormativa. Questo ha un effetto simile al voto di celibato in alcuni ordini monastici di diverse tradizioni religiose:

Pais o mães de santo, che si sono sposati e mantengono i legami con la loro famiglia, sono costretti a togliere risorse dal culto per rispettare i propri obblighi sociali al di fuori di esso. Chiaramente, le persone impegnate nel culto che non hanno simili obblighi possono investire tutte le loro energie nelle relazioni sociali che sono importanti nel contesto della pratica. Gli uomini gay si trovano spesso in questa situazione. Raramente hanno figli, e quasi sempre mantengono legami molto deboli con le loro famiglie.

Questa posizione esterna dà alle persone queer una prospettiva obiettiva sulle crisi e i problemi delle persone devote, consentendo quindi loro di “fornire consigli e raccomandazioni imparziali ai loro clienti” 20 . In aggiunta a questo spazio religioso, in qualche modo monastico pur senza il celibato, al di fuori della famiglia tradizionale, gli uomini queer hanno il vantaggio di poter trascendere i ruoli di genere e assumere quelli maschili e femminili: “possono svolgere i ruoli degli uomini e delle donne: il bicha è una categoria a parte, e può usare il privilegio associato con il ruolo maschile e femminile”.