Condividiamo di seguito la recensione integrale di Macchine Neurodivergenti scritta da Paolo Vernaglione Berardi per Il Manifesto, che potete leggere anche qui: https://ilmanifesto.it/soggettivita-ibride-in-ascolto-reciproco
Soggettività ibride in ascolto reciproco
Come si può generare immaginario dal momento che oggi la necessità è disertare la guerra, fuggire il genocidio, destituire l’estrazione biotech di vita, risorse, ambiente? Come creare un’altra vita in questa vita, un altro mondo in questo mondo? In maniera flagrante la posta in gioco è il nesso corpo-linguaggio, cioè la soggettività, presa nell’ambiente pervasivo delle tecnologie dell’algoritmo, ma comunque capace di sottrarsi alla razionalità strumentale tramite assemblaggi, ibridazioni, ricombinazioni tra viventi, non viventi e macchine.
É QUESTO IL CAMPO di indagine del gruppo Ippolita, attivo dal 2004 e che si è definito nel corso degli anni come uno dei più puntuali centri di ricerca indipendente delle tecnologie digitali e delle culture radicali, sperimentando anche un prezioso lavoro editoriale. Per questo è da leggere l’agile e accurato Macchine neurodivergenti (ombre corte, pp. 112, euro 12), composto da un saggio di Andrew Goodman, poeta, critico e artista visivo, accompagnato da un testo rilevante del collettivo, che disloca la densa letteratura sulla soglia ecologica postumana, aprendo uno sguardo originale sull’inversione del rapporto umano-macchina. Il punto di svolta teorico risiede nell’emergere di una doppia genealogia, una lunga e l’altra attuale in cui è iscritta la recente elaborazione sull’Intelligenza Artificiale, laddove sfugge alla logica estrattiva e alla pervasività del controllo. La lunga genealogia del normale e del patologico, come delineata da Canguilhem e da Foucault nell’archeologia dei dispositivi di sapere-potere, impegna la risalita nell’ultima modernità ad opera di Gilles Deleuze nelle istanze cyberpunk e postfemministe di Donna Haraway e Rosi Braidotti.
In questo alveo si situa la riflessione interdisciplinare di Andrew Goodman sulla destituzione del binarismo razziale, epistemico e del genere. Si tratta di revocare la patologizzazione generalizzata del disagio e della «malattia» psichica e di introdurre una pedagogia radicale di ibridazione per le macchine che dismetta il senso performativo e di ottimizzazione. Una comunità di apprendimento postumana non prevede una pedagogia del controllo ma co-creazione di soggettività composite, ibride, in ascolto reciproco. Il punto di rottura è nel valore da assegnare ai fallimenti, alle neurodivergenze e ai disturbi del linguaggio che sospendono la produzione simbolica e reale di valore. La proposta di Goodman, è una forma di vita analgoritmica e transindividuale in cui si creano cura e comune affettiva sull’esempio generalizzato delle comunità nere, queer, ecologiche, neurodiverse.
SUL VERSANTE della soggettività, incarniamo automatismi che diventano noi, nella chiusura di un doppio vincolo: la procedura abitudinaria diviene sequenza algoritmica che rinforza l’abitudine. La dissonanza cognitiva si verifica quando facciamo esperienza di un conflitto tra due o più idee, comportamenti, emozioni che percepiamo come incoerenti. Gli algoritmi ci «conoscono» perché la gamma delle esperienze prodotte in questo modo è limitata a ciò che è polarizzato tra «mi piace» e «non mi piace». Eppure le macchine sono soggettività anche se funzionano male o se non funzionano, questo è ciò che intendiamo come hacking politico. Dove il calcolo pretende di esaurire il pensiero e di coincidere con il senso, occorre disertare. Ed è in questo scarto – nella frizione tra l’ideale di normalizzazione e l’esperienza vissuta del disagio – che si apre la possibilità di pensare pratiche digitali non come correzione ma come spazio critico di produzione.