Riconoscere la violenza sistemica nelle tecnologie del controllo
Come l’industria tecnologica crea contesti abusanti e nuove fragilità di genere
Una formazione di Ippolita per i Centri antiviolenza della Cooperativa Iside di Mestre.
LA VIOLENZA È INCLUSA NEL PROGETTO. I nessi fra tecnologia e violenza di gere sono molti, ma per fare un’analisi completa occorre avere ben chiare almeno tre caratteristiche strutturali delle tecnologie digitali per come sono stata concepita: la sorveglianza, la cultura del rischio e la gamificazione. Questi elementi relativi ai modelli di business vengono implementati nel design commerciale, creando forme di violenza sistemica contro le donne e tutti i soggetti già inferiorizzati dalla cultura patriarcale. Gli strumenti tecnologici attualmente più usati si basano sulla sorveglianza e avvantaggiano le applicazioni dedicate al controllo diffuso: domestico, parentale, di coppia, di quartiere, eccetera. In questo modo viene promossa nella società, già fortemente securizzata, una vera e propria cultura del controllo, che si accompagna sempre più spesso a una retorica della cura come presa in carico morale della società.
Tutti i servizi e le applicazioni web si basano sull’identificazione minuziosa, il controllo pervasivo e la raccolta massiva dei dati dell’utenza. Il fatto che, ad esempio, nel capitalismo della sorveglianza non ci sia alcuna differenza tra persone adulte e bambine ci fa capire il livello di fragilizzazione a cui siamo esposte già dall’infanzia. In ambito tecnologico, e in particolare per quanto riguarda i nessi fra tecnologie e violenza di genere, è importante riconoscere che il controllo è una tipologia di violenza e che va per questo contrastata in tutte le sue forme. Il secondo e il terzo elemento che contribuiscono a creare forme immanenti di violenza sono la cultura del rischio e la gamificazione, residui della cultura neoliberale che si infiltrano in tutta la nostra vita “onlife”.
L’obiettivo del mercato relazionale aperto con le nuove tecnologie è il self branding, che, di fatto, è una pratica di reificazione del sé, in cui cerchiamo di aderire il più possibile ai modelli dominanti di bianchezza, procacità sessuale, magrezza, capacità economica, eccetera. Che si tratti del rating su Airbnb o di Tinder, tutto concorre a stimolare l’attenzione e la paura di perdere il proprio capitale, sia esso economico o reputazionale. In alcuni casi, abbiamo chiamato foucaultianamente questa sovrapposizione “reddito psichico”. L’illusione è che, se siamo abbastanza spregiudicate, la tecnologia funzionerà come ascensore sociale.